Non sono proprio agitatissimo, anzi, quasi rassegnato: so che prima dell'ultimo incidente al polpaccio avrei potuto comunque finire al gara, ma ora so ancora meglio che non potrò finirla come vorrei, ed anzi c'è il rischio che non ci riesca...
Pace, ma ci proviamo lo stesso: bisogna essere mussi fino in fondo, che caspita!
E poi la vera festa è andare via con altri adolescenti di circa quarant'anni e sentirsi come in terza liceo, con tutto il contorno di propositi bellicosi per donne che non troveremo nè conquisteremo mai sul campo di gara e con le risate e le scorregge che invece faranno da immancabile colonna sonora alle nostre gesta.
A proposito di colonna sonora, il viaggo di andata lo faccio in auto con il mio acerrimo rivale sportivo, oltre che primo mentore, Mirco il Tanke, fine amante di musica a tutto tondo che mi erudisce sui successi dell'estate che si sta chiudendo, ignorando con una occhiata di disprezzo il mia frugalità musicale. Il fatto che io appicci la radio su Virgin e non la tocchi più è quasi offensivo!
Il Tanke è un animale modernissimo e possiede un abbonamento che gli permette di fruire via telefono di tutta la musica disponibile e di farla dunque replicare agli altoparlanti dell sua auto. Così me ne da prova inserendo il successo estivo di riferimento, divenuto istantaneamente tormentone di questo Ironman, almeno per noi...
Putroppo smanettare sull'i-phone mentre si guida rallenta leggermente le medie autostradali e, complice qualche incomprensione con le indicazioni croate, arriviamo a Pola alle 9 di sera...
Così si va "a comandare" al ristorante con una fame 'sassina!
Naturalmente...Piove!!!
Ma piove piove!
Di brutto intendo!
Ci infradiciamo completamente solo a scaricare i bagagli.
Nel mio innato ottimismo mi dico: bene, sfogati sta sera, che in gara vogliamo il sole!
Infatti il mattino succesivo, giusto il tempo di raggiungere la tenda del check-in, e viene giù il cielo: acqua a secchiate!
Raccolti sotto il tendone del merchandising dell'Ironman, tantissimi, tutti, i musi sono lunghi come quaresime e gli occhi guardano lucidi i quattro centimetri di acqua sul piazzale, dalle finestre di nylon.
Alessio, venuto fin lì in bici, se ne vien fuori con un lapidario: - Ah bhe, se domenica è così, che non pensiate che io parta!! Lego la bicicletta al palo, io!!! -
In effetti, bisogna pur distinguere tra triatleta e idiota totale e questo è un momento buono per farlo....!
Grazie e dio nel pomeriggio si apre un po' il cielo e in riva alla spiaggetta della partenza, provando un paio di bracciate e tastando l'acqua, ci illudiamo un po' che l'indomani sarà sereno.
Il colpo d'occhio è spettacolare, mare limpido e sullo sfonfo roccia bianca e vegetazione rigogliosa, c'è di che farsi ei selfy da veri fighi!
Noi invece si va in su e in giù per lo specchio d'acqua mulinando le braccia, alcuni avvolti nel bellissimo neoprene come pingui foche, per poi spiaggiarci ed asciugarci le ossa sui sassi, ovviamente magnando banane, che siamo ancora di carboload!!
Madonna quanto abbiamo magnato!!
Colazioni faraoniche con cinquemila fette biscottate annegate nella marmellata, frutta secca, succo; a pranzo piatti di pasta con lo sgombro a badilate, che dicono che lo sgombro sia nutriente! Tre ore per mangiare!
Che poi negli appartamenti in affitto mettono quelle piastre elettriche che non scaldano una mazza, e noi lì a smanettare con la manopola priva di indicatori, per cercare il massimo della potenza.
Io era tre giorni che non addentavo na forchettata di pasta, perchè il carboload va fatto bene, e da lunedì a mercoledì niente carboidrati, Franz docet; solo carne formaggio uova e pesce mattina pomeriggio e sera....
Che minchiate! vabbhè, provata anche questa!
La sera prima della gara, sabato, megapastasciuttone, con lo sgombro naturalmente, e a nanna presto, che domani si penta!
Alla notte le nostre illusioni si sono naturalmente infrante: acqua da diluvio universale! Roba che in Italia scatta l'emergenza nazionale.
L'acqua scorreva lungo i vialetti come torrenti di montagna e dilavava prati e aiuole.
Noi pensavamo ai nostri indumenti lasciati in zona cambio in una borsa di plastica attaccati a delle rastrelliere: chissà se avrebbero tenuto l'acqua o se avremmo tovato dei gavettoni l'indomani.
Di certo è stato ultile oliare per bene le bici, sai la lavata!
1700 bici, alcune ciofeche, altre bellissime e ultracronomoderne, in un parco chiuso dal valore stimato di circa 3.000.000 di euro!
Che roba!
Riesco a dormire.
Il mattino, dopo la colazione lucculliana, un febbrile susseguirsi di preparativi e soprattutto di sortite al bagno. Chi vorrebbe trovarsi nel bel mezzo di una gara coi propri bisogni?? e sei ore son lunghe!!!
Ma il nervosismo è un ottimo lassativo e ci siamo alleggeriti tutti a dovere, ahah!
In zona cambio, una bella, bellissima foto di squadra
e poi via dentro le nostre mute verso il mare scuro.
Sì, perchè la pioggia era cessata nel mattino, ma la giornata pareva una mesta giornata di autunno, con una temperatura affatto piacevole!!!
Nonostante il briefing del giorno prima, di come disporsi in griglia non aveva capito un cazzo nessuno, perciò siamo rimasti in gruppo e siamo partiti più o meno tutti insieme.
Che emozione!
Saltellavo, ballavo al ritmo della musica sparata dall'organizzazione in mezzo alle altre centinaia di cuffie colorate, occhialini specchiati e mute lucide, tutti uguali di fronte ad una grande sfida.
Siamo entrati in acqua 8 alla volta.
Per i primi 500 metri le cose sono andate bene.
L'acqua non era fredda e le onde non fastidiose.
Solo la mia tipica crisi di "che cazzo ci faccio qui" di tre o quattro secondi a spezzare la concentrazione, poi solo il divertimento di nuotare e sfidare il mare e il tempo e sè stessi.
Non potevo tirare, dovevo risparmiare la spalla, perciò mi sono messo ad un ritmo regolare, cercando di assecondare il moto delle onde e di gestire al meglio la rotta, che era molto facile da perdere in mezzo agli altri concorrenti e per via della corrente.
Quando però ho svoltato a sinistra alla boa bianca per percorrere il tratto di nuoto parallelo alla spiaggia, è arrivata la sorpresa di un mare che si andava certamente ingrossando e le onde mi spingevano in alto per poi lasciarmi cadere verso la successiva.
L'orizzonte andava e veniva insieme alle cuffie rosse e blu di chi mi precedeva.
La boa successiva bisognava mirarla solo in cima alle onde.
L'impressione era proprio quella di star lì a domare il mare in una lotta impari ed estenuante.
Molti, un po' smarritti, si fermavano, nuotando a rana.
Quando la successiva boa bianca è stata raggiunta, lo smarrimento è arrivato anche per me: le successive boe che avrebbero dovuto delineare una canale fino a riva non si vedevano, in lontananza sulla spiaggia due strutture bianche, ma non si capiva bene quale fosse la spiaggia da cui eravamo partiti.
Gli altri concorrenti sparpugliati su un fronte molto ampio non davano con chiarezza la direzione corretta. Ho iniziato a nuotare verso quei puntini bianchi in lontananza, ma ben presto mi sono accorto di una robusta corrente che spingeva a insistentemente a destra facendomi perdere la rotta.
Alla fine ho percorso una traiettoria cuvilinea che ha spanciato verso destra fino a lambire le scogliere che come un imbuto portavano poi alla rampa di salita.
Sul fondo finalmente la vista confortante del blu che si schiariva sempre più, lasciando intravedere il fondo, poi i pesci, tanti pesci, e gli scogli, e infine la moquette, che in acqua mi sono sì divertito, ma tutto sommato era anche ora che ritornassi coi piedi per terra!
E a momenti a terra ci finisco tutto, no solo i piedi: come faccio per alzarmi dall'acqua, parte un crampo incredibile al mio stronzo polpaccio destro e cado tra le mani degli assistenti, che mi passano di mano in mano ai successivi come un sacco di patate fin che non riesco a rimettermi dritto ed a zampettare via tra le incitazioni del pubblico. Che vergogna. Ma che male!!
Non me lo aspettavo proprio che il polpaccio mi desse problemi a nuoto!!
Zoppico fino in zona cambio che vicina non era, e un po' fastornato inizio a cambiarmi.
Impiego un po' di tempo nell'operazione, preoccupato per il prosieguo della gara, e smorzo un po' la tensione scambiando una battuta con un concorrente in fianco a me.
Intanto ha iniziato a piovere e nel tempo di raggiungere la bici e uscire dalla zona cambio, sono già costretto a indossare il gilet antivento per cercare un po' più di protezione.
Ingurgito il mio primo paninetto, che avevo legato come un salamotto ad una delle due prolunghe sul manubrio.
Mi torna in mente la scena della mattina, laddove, mentre fissavo il panino, due ragazze che sono passate dietro di me hanno ridacchiato osservandomi nell'operazione e dicendo una all'altra:- Guarda, quello ha un panino!- Ma pensa te! Mi sono sentito il contadino che in classe tira fuori dalla cartella pane e formaggio mentre gli altri cittadini scartano i loro crakers confezionati!
Ad ogni modo il panino era buono e poco importa che alcuni fenomeni mi superassero già a mille all'ora con le loro crono fiammanti.
Che poi boh... al trentesimo chilometro ne ho passati molti chini sulle prolunghe con i lunghi caschi che fendevano l'aria a 28 all'ora... spingendo dei rapporti durissimi su falsipiani a 40 pedalate al minuto come se il cambio si fosse inceppato.
La cosa ha per me quasi del misterioso.
Io ho cambiato rapporto tantissime volte nel susseguirsi di salite e discese della prima metà gara, chè non volevo imballare le gambe e cercavo semrpre un rapporto agile tra le 80 e le 90 pedalate al minuto...
Nel frattempo la pioggia continuava a impeversare insistente che sembrava proprio avercela con noi.
Senza tregua.
Sulla strada si sono formate pozze e grossi rigoli d'acqua corrente e noi ci infilavamo dentro inconsapevoli di quello che avrebbero potuto nascondere.
A un certo punto un sacco di persone ferme ai bordi con le ruote forate hanno fatto temere di essere vittima della stessa sorte, invece nulla di tutto ciò.
Continuavo ad avanzare al mio passo, cercando di non superare i 150 battiti al minuto e allungando un po' nelle discese.
La soddisfazione più grande in un lunghissimo rettifilo del rientro, dove la strada lucida per la pioggia contrastava con la fitta boscaglia ai lati, ed io ero solo a lanciarmi nella discesa, chino sulle prolunghe, a cinquanta all'ora, come un vero triatleta!
Che bella, esaltante sensazione!
Stavo vivendo il mio momento, quello che avevo cercato si stava avverando, e non è poco.
Spesso si cerca a lungo qualcosa, un risultato, una sensazione, e poi i casi della vita fanno si che per un motivo o per l'altro non siano come ce li saremmo aspettati.
Invece io ero propro lì dove volevo essere, e pazienza se qualche goccia di pioggia non era prevista nel quadro dei miei sogni; e pazienza se le mie gambe non erano a bolla!
La seconda metà di percorso è scivolata via in un lampo, ma non senza una corposa caccanellemutande a 10 chilometri dalla fine: in una curvetta a gomito che immetteva in una viuzza veramente ridicola, nonostante tutta la prudenza di questo mondo, la mia ruota anteriore se ne è bellamente adata per i cazzi suoi facendomi presagire il freddo dell'asfalto sulle gambe ed il bruciore della pelata sulla carne.
Tuttavia dal momento che nella vita ci vuole anche culo, qualosa mi ha tenuto in piedi.
E' un segno! Ho pensato.
In men che non si dica mi sono ritrovato a riagganciare la bici alla rastrelliera, con la mente già volta al cambio di scarpe ed alle prime fasi della corsa.
Quando sono ripartito, scendendo con circospezione le scale che portavano alla panoramica del lungomare, ascoltando i polpacci e le informazioni che il mio sistema nervoso mi rimandava, ha rinforzato la pioggia in un modo quasi comico, tanto che mi sono ritrovato a ridere di fronte a chi incontravo, che da sotto k-way e ombrelli batteva le mani incitandoci.
Ridevo e infilavo le scarpe in torrenti veri e propri che scendevano dalle gradinate dei vialetti d'accesso alle case, saltando nelle pozzanghere che si stendevano senza soluzione di continuità, manco fossi stato un bimbo con gli stivali di gomma.
Ridevo e pensavo che era proprio una presa per il culo: non riuscivo a ricordare l'ultima volta che avevo visto un temporale tanto lungo, e me lo stavo prendendo tutto durante la prova fisica pù dura e gratuita della mia vita!
Intanto mi sono trovato a correre affiancato ad uno spilungone con la barba e poichè corravamo allo stesso ritmo, ho attaccato pezza.
Si chiama Ivan e veniva da Gorizia. Era anche lui al suo primo mezzo e deve aver gradito la mie chiacchiere perchè abbiamo parlato per 10 chilometri.
Questo non me lo sarei proprio mai aspettato: di chiacchierare durante la corsa di un 70.3!!!
Però controllavo l'orologio, ero a 5 minuti al chilometro più o meno e a 150 battitti, perfetto, se m'avanzava un po' di fiato che male c'era?
Mi sono quasi dimenticato che sotto sotto, in particolare sotto al ginocchio destro, io mi portavo da casa un piccolo...., insignificante problema.
Ma il problema non si è dimenticato di me, e un bel morso mi ha rattrappito la gamba appena giunto nel perimetro cittadino di Pola. Improvviso come un fulmine a ciel sereno. Doloroso e secco come il morso di un serpente! Un secondo prima mi sentivo da dio, un secondo dopo zoppicavo per il dolore...
Addio Ivan.
Lui mi fa: mi raccomando ci vediamo all'arrivo!
Eh, non mancassero quegli 11 chilometrini, avrei anche detto un sì più convinto, ma mi esce solo un laconico: - Ci proviamo! -
E ci ho provato.
Mi sono fermato un attimo, ho infilato i calzerotti compressivi sperando che veramente potessero darmi una mano e mi sono riavviato, mesto.
Il sorriso era sparito e iniziavo a rassegnarmi non solo all'idea di vedere di lì a poco sfilare i compagni che avessi avuto dietro, ma soprattutto al fatto che avrei potuto dover fermarmi e non raggiungere niente. Niente Arena, niente gioia, niente pacche sulle spalle, niente risate, niente patacca medagliosa. Niente.
Intanto dovevo correre come potevo.
Il che voleva dire a 6:20.
A 6:20!!!! Hanno iniziato a superarmi tutti quelli che avevo passato nei precedenti 10 chilometri, e poi anche alcuni che non capivo come potessero essere lì a fare un 70.3, da male che correvano! Uomini enormi e appesantiti che massacravano le proprie articolazioni con corse sgraziate, donne non più giovanissime che avanzavano un po' sghimbesce, con andature dondolanti.
Io con tutta la mia merda di teoria sulla corsa naturale, la postura delle spalle, il tempo di contatto col suolo, io con tutte le mie elucubrazioni sulla spinta di avampiede, la frequenza di corsa, ero lì, claudicante e sofferente, a guardare questi affronti alla corsa che pure mi superavano inesorabilmente, senza grazia.
Che enorme ingiustizia, che affronto al mio orgoglio! Magari hanno male pure loro, mi son detto!
Ma dovevo star lì: ad ogni tentativo di ripresa il polpaccio si ribellava e minacciava di scrivere la parola game over sul mio schermo sgranato.
E allora pazienza, caro mio, affronta con onore la tua situazione e controlla la corsa.
Attraverso una piazzetta affollata e guardo dritto davanti a me, evitando sguardi. Raccolgo qualche incitamento, mi fermo per un sorso di sali, poi mi avvio lungo il bastone che corre fino in fondo al porto, fino al giro di boa. Quei metri mi sono parsi interminabili.
La pioggia si era fatta più discreta, ma la paura di piantarmi mi martellava in testa come un metronomo ad ogni passo.
Osservo la baia del porto, con acque placide che non paiono nemmeno parenti del mare della mattina.
I pescherecci perfettamente immobili, come incollati alle increspature del mare.
Ripenso all'amico Dani, alla sua forza, alla sua sfida quoidiana contro un nemico ben più tremendo di una banale contrattura. Penso che mi direbbe Dai! Non mollare ora!
Me lo sta dicendo anche Max, che avrebbe dovuto essere lì con me, e invece un ventricolo dispettoso gli ha strappato il biglietto per Pola
A cinque chilometri dalla fine mi raggiunge Nicola.
Era inevitabile, mi dico, è arrivato sano, lui, alla sua gara, ma lo trovo comunque più sofferente del previsto.
E' dura per tutti, non c'è dubbio!
Avvisto il Tanke: è dietro ed anche lui ha il passo un po' stanco, ma ho visto i suoi allenamenti, e calcolo approssimativamente il punto in cui mi prenderà.
Non importa, mi dico, devo arrivare.
Voglio entrare in quell'Arena.
Invece al secondo passaggio in centro, prima della lunga salita che porta all'Arena, il dolore mi ha quasi piegato.
Mi accorgo che non è finita fin che non è finita.
Infatti ora non è solo il popaccio destro a dolere, ma anche lungo il quadricipite sinistro solletica il principio di un crampo.
Mi chiedo che danni sto facendo alla gamba a starci ancora sopra. Mi chiedo se sia saggio continuare, alla fine è solo una questione di orgoglio.
Ma l'orgoglio di un musso non conosce compromessi!
Mi rimetto a zampettare e compio una altro giro di boa. Non ho più alibi, uno che ha fatto 17 chilometri ne può fare anche 21, cribbio!!
Rivedo Mirco, anche lui affaticato, ha perso qualche metro.
Vai, la sfida è ancora aperta!
In realtà non sono pochi minuti che misurano il valore della nostra impresa, ma dopo quasi sei ore di gara, ogni appiglio è buono per darsi forza in più.
Mi reinfilo tra le vie del centro, caparbio, aumento il passo e vedo, in lontananza le transenne.
Le ragazze dell'organizzazione ci sorridono e ci incitano, ormai è fatta, manca solo una piccola e insidiosa rampa e l'impresa avrà il suo lieto fine. Mi tolgo occhiali e smanicato, che sul traguardo voglio portare i colori della squadra, mica di Bardolino, e affronto la passerella dell'arrivo con la felicità che mi si rovescia dentro come balsamo rinvigorente, che mi si riversa in testa e mi scorre lungo le braccia, lungo le gambe, e salutato dall'unico raggio di sole della giornata!
Allargo le braccia, ammiro le alte arcate dell'Arena, do il cinque al comentatore che mi chiama per nome, leggendolo dal pettorale,
Mi godo la musica e le grida e vado a prendermi l'ambita patacca di metallo, il simbolo della vittoria, della vittoria della mia sfida a me stesso, alle mie sfortune ed alle mie imprudenze.
E' bellissimo! Zoppico fuori e vado a cercare qualche compagno, ma ad aspettarmi c'è quello spilungone di Ivan. Mi viene incontro e mi tende la mano, come se lo avessimo preparato insieme quel 70.3.
Lo abbraccio e lo ringrazio!
Poi vedo Nicola, affaticato e silenzioso, e poco dopo arriva Mirco e infine Mattia!
E' festa!
Ci si dimentica della stanchezza: è l'ora della birra, della pasta e delle risate!
Andiamo a comandare!
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